XIV

CONCLUSIONE

Per ogni lettura di poesia il compito primo della critica consiste nello storicizzare l’impressione del testo, traendola dal limbo della pura sensibilità, collocandola nelle linee del metodo che il poeta si costruí. Compito fondamentale che limita l’arbitrio della «consolazione», della preferenza sentimentale, ed avverte del pericolo di una poeticità contenutistica o di parole a cui la poetica leopardiana dell’idillio potrebbe confortare con il suo canone di parole poetiche, di linguaggio eletto. Ecco cosí che l’estremo antiidillico, la Ginestra, può apparire altissimo tentativo rapisardiano, decadenza dalla grandezza delle Ricordanze mentre, misurata sul metodo che il Leopardi costruí e adoperò nell’ultimo periodo della sua attività, appare nella sua solenne e nuda grandiosità, nella sua giustificazione poetica.

Perciò l’avere seguíto dopo la sua prima manifestazione concreta il persistere e lo svolgersi della nuova poetica fino alla Ginestra ci ha permesso di approfondire la storia di questo grande canto al di là dell’«odi et amo» piú comune, e di trovare d’altra parte in esso la conferma di atteggiamenti stilistici, di sommovimenti spirituali che ad esso tendono come preparazione parziale.

Una poetica che presenta realizzazioni diverse, ma che dal Pensiero dominante alla Ginestra, nello stacco iniziale di una rapita esaltazione del valore personale, ha mantenuto le sue linee essenziali, il suo carattere eroico, teso, affermativo.

La certezza estatica del Pensiero, la fremente separazione di Aspasia, la protesta di A se stesso, il messaggio della Ginestra, in diverse situazioni e con diverse accentuazioni, sono momenti di una stessa poetica di energia della personalità; vivono dello stesso ritmo piú raccolto ed esplosivo in A se stesso, piú slanciato e solenne nella Ginestra, ma uguale nella sua urgenza ascendente, nella sua musica romantica e violenta.

L’esame dei singoli momenti realizzati avrà d’altra parte mostrato come la nuova poetica con le sue forme poco tradizionali, con i suoi impeti rivoluzionari non implichi una specie di imbarbarimento del gusto leopardiano attentissimo agli effetti piú minuti e musicali e vivissimo nella coscienza piú acuta anche alla ripresa, nelle correzioni del ’35, della poetica idillica dove era richiesta coerentemente. E basterà ricordare proprio la revisione del grande inizio della Sera del dí di festa, capolavoro di gusto idillico, per comprendere come il Leopardi di questo periodo non è un Leopardi irrigidito, capace com’è di accendere la sua sensibilità a cogliere momenti di potenza artistica anche fuori della sua ispirazione dominante, fuori della poetica coscientemente accettata.

Si ottiene cosí una distinzione che precisa, storicizza, apre la lettura orientata di tanta poesia, e finisce per arricchire e allargare tutta la nostra conoscenza del mondo leopardiano tanto piú vasto della formula in cui molto spesso viene rinchiuso e forzatamente stravolto.